Non inganni la faccia da bravo ragazzo. Non inganni quel volto un po’ a prima vista puerile, un altro po’ magari effeminato. Paweł è un ragazzo cui la vita non ha riservato sempre ottimi momenti, ma ha sempre saputo conviverci. Anzi, rettifico, è stato costretto a farci l’abitudine. Perché Tadeusz Cibicki ha sempre sostenuto il figlio nella sua carriera, ha sempre rivestito il ruolo genitore intento a nulla fuorché il bene del figlio, ha sempre guidato il giovane nelle sue scelte pur evitando di imporre le sue preferenze. Aver visto oggi Paweł con la maglia svedese, contro la Polonia di cui la famiglia è originaria, non si può dire sia stato completamente piacevole. Un po’ come il cuore fosse forzato ad apprezzare altri colori. Si trova dall’altro lato del divano, Tadeusz, quando Eric Niva comincia l’intervista all’attaccante del Malmoe.
“Dite le cose come è giusto, non è pericoloso”. Getta così la maschera Tadeusz Cibicki, mostrando con orgoglio la sua discendenza polacca e quasi manifestando la proverbiale aquila biancorossa nel suo sguardo: “E’ chiaro che io tifo per la Polonia. Assolutamente. Che cosa dovrei dire? Sono polacco“. Lo interrompe subito il figlio Paweł: “Sono anche polacco”. Il siparietto familiare assume contorni meno distesi perché Tadeusz lo fissa in modo cagnesco. Durante la carriera del figlio, è passato per Olanda, Belgio e Polonia. Ma il debutto con la nazionale gialloblù proprio non riesce ad ingurgitarlo: “Non lo so… Forse tu sei solo polacco a metà“. Eppure, leggendo sulla carta d’identità, si vede chiaramente come Paweł Cibicki sia nato il 9 gennaio 1994 a Malmö: dopo lo scorso anno allo Jönköpings, ecco che dal 2017 è nella rosa del FF. Capitolo nazionale: una presenza con la Polonia U19, una con quella U20, cinque con la Svezia U21. Confusione, sì, ma anche una scelta: inizialmente pareva aver optato per i biancorossi, ma si ricrederà a favore del suo paese adottivo.
E’ un lunedì di fine maggio e la partita è allo Swebank Stadion, in casa. Paweł non ha la patente, quindi tocca al padre guidare da Hermodsdal (dove abita con la famiglia) fino allo stadio: “Papà mi spinge ancora, l’ha sempre fatto, per ogni partita, ogni allenamento. A volte, quando a Jönköping ho preso il treno che delle 06:11, ho chiamato mio padre alle cinque del mattino per ottenere un passaggio alla stazione. E’ venuto ogni volta”. E non solo qui, ma anche al Nyldala, lo stadio dove il piccolo Paweł aveva fatto il suo primo allenamento: “Avevo circa sei anni. Siamo venuti qui, e il papà sarebbe andato a comprare una tazza di caffè. Ma quando è tornato ero via. Non ho lavorato fuori, ma io ero corso a casa. Ma il giorno dopo mi ha portato di nuovo qui. E il giorno dopo ancora”. Piccola pausa. “Qui inizia Hermodsdal. Questo era il luogo dove tutto è cominciato, ed è ancora la mia zona. Non sono mai in città. Sono sempre a casa, anche se succede tanta merda ora. È venuta anche qui. L’altro ieri c’è stata una macchina capovolta proprio dove viviamo. Qualcuno aveva rubato una macchina e guidava in sulla nostra strada”. Sembra di parlare con Ibrahimović, sembra di sentir una descrizione del “ghetto” Rosengård, invece no. Se da un lato si definisce malmöit, dall’altro si dice svedese: “A dire il vero, mi sono sentito un po’ più polacco rispetto a svedese. Sai, a casa si parla sempre polacco, io e mio fratello parliamo svedese, papà no. In vacanza siamo andati in Polonia, sarò sempre un polacco“. La voce di Paweł si fa più triste, certamente non si configurerebbe come quella spensierata di un 23enne che nella vita gioca a calcio. “Andare in Polonia è stato divertente quando ero piccolo. Abbiamo sempre avuto l’auto imballata, completamente piena. Non si potevano mettere i piedi da qualche parte, perché c’erano valigie ovunque. Sempre in macchina da qui a Karlskrona, poi il traghetto da Gdynia. Dieci ore di traghetto, poi cinque ore da lì con la macchina”. E alla domanda sul perchè si siano traferiti in Svezia, Paweł non sa che dire: “Non ne ho idea, in realtà. Non ho mai chiesto”.
Niva entra in casa, Tadeusz Cibicki lo attende fuori dal cancello. Paweł rallenta, poi si dirige verso il giornalista e chiede: “Quanti anni pensi che abbia?”. Niva azzarda un 55, ma l’attaccante sorride e spiega: “Compie 70 anni quest’anno, ma se lo guardi non vedi mai che lui è un 70enne, mai. Non si può indovinare quanti anni ha, incredibile. Spero di avere a prendere in consegna i suoi geni”. Ecco poi una dichiarazione importante di affetto, quella di un figlio nei confronti del padre: “Cosa dovrei dire, lui è speciale. In tutte le discussioni e tutto ciò che fa, papà non si è mai sbagliato”. Tanto che orgogliosamente ripete come in molti gli dicano che abbia preso tutto da lui.
Ma com’è possibile che un ragazzo cresciuto a Hermodsdal, a Malmoe, originario della Polonia e da sempre polacco, abbia scelto la Svezia? In fondo già sulla rampa delle scale padre e figlio parlano la lingua polacca, ma quando si siedono intorno al tavolo della sala Tadeusz Cibicki parla in uno svedese semplice. Gli piaceva la vita da idraulico nella Varsavia sud, ma un senso di responsabilità (come dice lui) lo ha portato qui. “Alla fine del 1980, la mia prima moglie aveva già passato due anni in Svezia. Mi ha chiamato molte volte in Polonia, chiedendomi di raggiungerla. E nostra figlia mi ha detto che amava troppo la madre. Così ci siamo trasferiti, ho iniziato a lavorare per un anno e mezzo senza aver mai letto lo svedese. Ho lavorato in una fabbrica di materie plastiche, ma hanno chiuso”.
Sposato per la prima volta, Tadeusz Cibicki ha girato varie zone di Malmö: Holma, Bellevue, Lindängen. I suoi tre figli sono equamente distribuiti nella sua vita: la più grande nata quanto aveva 23 anni, il più giovane a 57. Quando il padre racconta di Lindängen, Paweł sembra perplesso. Quasi come se lo sentisse per la prima volta: “Ho vissuto in Lindängen in principio? Sono nato lì?”. Per la famiglia Cibicki i primi tempi dopo il trasloco sono stati difficili, e lo racconta un Tadeusz che narra di essersi sentito isolato, tagliato fuori: “Dopo sei mesi volevo solo andare a casa in Polonia di nuovo. E’ stato un momento molto difficile per me. Non avevo amici qui, solo lei. Ma poi ho comprato una bottiglia di vodka e chiesto in giro se qualcuno conoscesse qualche polacco. Uno mi disse di sì, e allora entrai da lui presentandomi con la bottiglia”. Da qui, tutto è diventato più facile. E il ritorno permanente in Polonia è un ipotesi al momento impraticabile: “Non adesso, il fratellino di Paweł è ancora troppo piccolo, ma poi…”.
E se la maggior parte degli svedesi guarda alla situazione politica in Polonia con sospetto, Tadeusz vede il partito conservatore PiS come una maggioranza buona per il paese. Quasi frustrato per il non sapersi esprimere correttamente in svedese, prende la parola e spiega come sia meno corrotto dei precedessori: “V’è una grande differenza in Polonia ora rispetto a quanto ho lasciato, oggi è molto, molto, molto meglio. Ora anche gli svedesi sono in movimento verso la Polonia. Conosco un ragazzo che ha vissuto 30 anni a Stoccolma, si è trasferito indietro: in 20 anni sarà completamente diverso. Poi tutti gli svedesi si trasferiranno in Polonia, haha. Te lo prometto, quando vai lì vedrai con i ì tuoi occhi quanto è bello è diventato”.
Eppure Konstancin non è il massimo: qualche miglio a sud di Varsavia, è completamente differente dalla capitale. Oggi è una città termale, tra le più ricche della Polonia. In mezzo a case lussureggianti, ecco una sorta di vecchio cartello. Grandioso, imponente, quasi assomiglia ad una chiesa. Środkowa 22 dovrebbe essere l’indirizzo. Esce dalla macchina Kamil Kowalczyk, il cugino di Paweł Cibicki, e comincia a gesticolare. “Vieni qui e starai ascoltando alcune storie”: c’è la seconda guerra mondiale, c’è l’espulsione degli ebrei, c’è la confisca degli edifici governativi da parte del comunismo che ne fece alloggi collettivi. Riprende il discorso Kamil: “La nostra famiglia ha vissuto qui per tre generazioni, ha condiviso la casa con un paio di altre famiglie. Io stesso sono nato qui, come la madre di Paweł. Ogni volta che sono tornato dalla Svezia, è stato qui che ci siamo incontrati, abbiamo avuto ottime cene e feste e giocato a calcio in giardino. E’ stata una bellissima casa, non abbiamo mai voluto muoverci, ma sette anni fa abbiamo dovuto. La casa era così logora che non era più al sicuro”. I quattro piani contenevano tra l’altro dieci camere da letto e culminavano con un campanile in cui si rannicchiavano i pipistrelli in cerca di rifugio. Kamil osserva la sua casa, con gli occhi gonfi dalla nostalgia: nessuno potrà più tornarci.
L’edificio al momento è in ristrutturazione, gente ricca sta progettando di riqualificare la zona al pari del resto del quartiere: “Mi manca, manca a tutti”. E comunque va precisato che Kamil (a differenza del padre e in generale del resto della famiglia) ha incoraggiato sin da subito Paweł a scegliere la nazionale svedese. Del resto Kamil è due anni più giovane rispetto a Paweł, ne consegue come l’attaccante sia sempre stato un modello per lui. Inevitabilmente Niva finisce a parlare di calcio, di quel spensierato sport da quartiere che teneva impegnati i ragazzi nei pomeriggi: “Quando è arrivato qui, era la stella. Quando ai ragazzi qui intorno è stato detto che era stato così sono stati tutti in attesa di lui:”È davvero così bravo?”. Ma si è fatto vedere ogni volta. Abbiamo sempre gareggiato uno contro l’altro, ma soprattutto eravamo amici. Io non lo guardo come un cugino, ma come un fratello. Quando ero piccolo, ho pianto quando sarebbero potuti tornare in Svezia”. Eppure Kamil è sorpreso che Paweł abbia scelto la Svezia: “Soprattutto perché so quanto sia molto, molto simile a suo padre che voleva giocasse per la Polonia. Era il suo grande sogno”.
Si ritorna improvvisamente a Malmö, nel salotto di casa Cibicki, su quel divano usato tantissimo, magari ci si immagina intenti a guardare la tv. Gran parte delle relazioni della famiglia è passata qui, dal salotto e dal divano: “Papà guarda la politica cinque o sei ore al giorno, lo giuro”. In quel momento c’è il tennis polacco in tv, ma presto ci sarebbe stato l’Europeo Under21. Già quello in cui Paweł ha incontrato la sua Polonia. Colpo al cuore. “E’ stato scritto nelle stelle, ho appena saputo. Ho detto al papà: “Sarà la Polonia.” Sapevo che era solo in attesa di ottenere la conferma. Ma in ogni caso ho pensato: “Spero di no. Non la Polonia, non la Polonia””. Ecco qui, il primo sorteggio: gialloblù e biancorossi. Voilà. Il fatto poi che la famiglia Cibicki abbia visto il sorteggio sulla tv polacca non ha certo contribuito a distendere un ambiente già tesissimo.
“In seguito hanno parlato di me. Hanno parlato che io avevo detto di no, così ora sono stato incluso con Klose e Podolski. Non sono mai stato in nessuna squadra nazionale, nulla. E’ stata la squadra nazionale polacca, prima, fin dall’inizio era evidente che la scelta era la Polonia”. E infatti nel marzo 2013 Paweł ha debuttato nell’Under19 polacca in una vittoria per 3-1 contro la Georgia. Ironia della sorte, la partita è stata giocata a Puławy, piccolo paesino a dieci minuti di autostrada da Kostancin. Sia il padre che il cugino erano in tribuna, naturalmente. Sei mesi dopo, ecco Svezia contro Polonia allo Swedbank Stadion di Malmö. A vincere era stata la formazione di Håkan Ericson, per 3-1: uno dei passi verso l’Europeo, gli Under21 gialloblù l’avevano compiuto sotto gli occhi di Cibicki spettatore. Proprio Cibicki racconta: “Non voglio mentire, mi chiedevo che non avessi preso una maglia da titolare polacca allora. È stato allora che ho incontrato Marcin Dorna per la prima volta, l’allenatore della squadra nazionale polacca U21″. In un match di Under20 contro la Germania, Cibicki fu utilizzato dalla Polonia. Il contatto col tecnico non è scemato neppure quando l’attaccante vestiva i colori del Malmö, mentre a Jönköping lo scorso anno Dorna si era pure recato di persona: “E’ stato e mi ha incontrato quando abbiamo giocato contro il Falkenberg con lo Jonkoping. E ‘stata una bella chiacchierata, e ti ho detto che stavo andando a giocare per la Polonia”. Pausa, silenzio. “Mi sentivo così. Tutto questo è un po’ colpa mia, perché ho accettato le due squadre nazionali. Ero troppo giovane“.
Il padre Tadeusz, che finora era stato tranquillo sul divano, ora si era alzato per andare in cucina a fare il caffè. Paweł invece continua a raccontare: “Sai perché era più arrabbiato con me? Non ho chiamato in Polonia e ha detto che hanno chiamato il padre per dieci volte al giorno chiedendo cosa successo”. E’ così, perché Cibicki non ha mai detto alla Polonia di aver cambiato idea: “Sì, in realtà lo so. Penso che siano molto delusi, e li capisco. Anche io lo sono stato”. Torna Tadeusz dalla cucina, un ultimo virgolettato e basta: “Forse sarebbe stato meglio se non avessi deciso nulla io”. Eppure il rapporto tra padre e figlio è di grande amore. Parole dure, due caratteri forti, ma tantissimo amore sotto quella dura scorza: “Lui non mi ascolta, questo è il problema. Sono suo padre, quindi devo essere io a decidere”.
A questo punto, l’unica strada praticabile per Niva è di spostare il discorso dalle nazionali al campionato. Quanto l’intervista è stata fatta, c’era appena stato Malmö FF-IFK Norrköping il giorno prima. Tadeusz Cibicki muta lo sguardo, poi il figlio chiede: “Norrköping ieri… Ho fatto qualcosa di sbagliato?”. “Assolutamente. Si fa così. E qui. E qua e là, e là dopo che la palla va avanti e indietro”. Agli occhi del padre è comprensibile che il figlio debba sempre far meglio. Eppure Paweł ha una buona comprensione del gioco: “Deve pensare di più sul campo da calcio. Ti faccio vedere. Guardate qui…”. Poi Tadeusz prende un blocchetto e comincia a disegnare qualche schema alzando i toni: “Quando c’è un angolo lui è qui, è sbagliato. Deve essere qui! Che cosa intende fare?”. Niva prova a prendere le difese del ragazzo dicendo che magari era il tecnico ad avergli dato quelle consegne, e Tadeusz reagisce mettendo le braccia conserte. Era pure lui un attaccante in Polonia, salì in terza divisione col suo club (Piaseczno) ma poi un infortunio mise prematuramente fine alla sua carriera. “Avevo 23 anni”.
Il discorso si sposta e torna in Polonia, a Konstancin, dove non ci sono molti muri di mattoni ma ampi murales dedicati al Legia Varsavia. Kamil Kowalczyk, cugino di Paweł, ne indica uno e spiega: “Molti dei miei amici vivono e muoiono per Legia, ma non è mai stato il mio club. Io tifo per il Malmö”. Passeggiando per la periferia nord della città, ecco improvvisamente un piccolo stadio da calcio, con una capacità ad occhio e croce di mille spettatori. Roman Kosecki, ex calciatore tra le altre di Galatasaray e Atlético Madrid, ha fondato qui la sua società, il Kosa Konstancin: oggi è un politico e lavora in parlamento. Come ogni squadra polacca, si fonda sulla crescita dei giovani e lo sviluppo di talenti: Paweł Cibicki ha giocato pure qui: “Quando il Malmö voleva cederlo in prestito erano diversi i grandi club polacchi interessati, sia Wisla Cracovia e Korona Kielce. Ma sono contento che non sia accaduto, il calcio polacco non sarebbe un bene per lui“. E continua Kamil, che come detto prima ha incitato Paweł a scegliere la Svezia a dispetto del resto della sua famiglia: “La situazione del calcio polacco è catastrofica, ci sono solo corruzione e nepotismo, non esiste una struttura efficace e non si pensa a lungo termine. Se avete la possibilità di arrivare su, è necessario disporre di importanti contatti e amici potenti”.
A questo punto la domanda di Niva si fa più pungente: ma se Paweł fosse cresciuto qui e non a Malmö, avrebbe raggiunto lo stesso punto attuale? “No, mai. Abbiamo parlato tra amici e parenti, e siamo tutti d’accordo. Non sarebbe stato scoperto, non avrebbe avuto l’opportunità di realizzare il suo potenziale. Ed è lo stesso anche al di fuori del campo di calcio, non c’è futuro per chi soggiorna a Konstancin”. Da quando Tadeusz Cibicki se n’era andato, nel 1980, tanta storia è accaduta: “Non so se c’è qualcosa di speciale qui, o se è così nei piccoli centri in tutto il mondo. Il vecchio é sempre molto indietro, i giovani vogliono sempre andar via da qui“. Dopo quest’intervista, e dopo la fine dell’Europeo, Kamil Kowalczyk è partito per Malmö. Ora lavora in una concessionaria di automobili, poi si vedrà: “Vivrò con lo zio e Paweł per cominciare, quindi spero che possano aiutarmi a trovare un lavoro. Poi vedremo, se io vengo in ordine e comincio a costruire una vita mia, spero che la mia ragazza voglia venire dopo”. A questo punto quasi Niva si indispettisce: “Sai cosa stai facendo? Malmö è una città piuttosto dura oggi”. La risposta di Kamil è accompagnata da un sorriso, prima che improvvisamente tutto si faccia più serio: “Sì, lo so. Io ci sono stato più di dieci volte, ho visto il cambiamento della città. C’è una grande differenza oggi rispetto a quando era piccola, ma quest’estate è momento per me di vedere qualcosa di diverso, provare qualcos’altro”.
Inevitabilmente si finisce a parlare di Manchester United, club che avrebbe pronti per Cibicki 85 milioni di euro. Ne parla la stampa britannica, ma probabilmente è solo una delle tante e fantasiose idee di mercato che rimbalzano da questa o quella parte in una normale estate in cui i lettori vogliono nomi e pur di non deluderli qualcuno decide di inventarsene di sana pianta. “Perché dovrei andare altrove sa Malmö ? Dove avrei qualcuno migliore di papà? Lui cucina, fa tutto…”. E quando Niva chiede a Paweł se sappia cucinare o fare il bucato, lui risponde così: “No, quando ero a Jonkoping ho mangiato fuori ogni giorno. E mio padre ha preso la roba da lavare ogni due settimane”. Padre che prende la parola, e racconta della nuova tattica utilizzata dal figlio la mattina per svegliarsi: è semplice, basta che il telefono non sia a portata di mano dal letto così Paweł una volta alzatosi per spegnere la sveglia non torna più tra le coperte. Difficile da comprendere per Tadeusz però, che per lungo tempo ha prestato servizio militare a ridosso degli anni ’60 : “Sono sempre stato un po’ così comodo. Quando ero più giovane, accadeva abbastanza spesso che volevo saltare un allenamento e dicevo “Papà, io sono malato””. Nel momento in cui dice questa frase, Paweł porta la mano in fronte quasi a mimare il controllo della temperatura corporea. Ma non sempre funzionava: “Sapeva sempre quando ero malato per davvero, e quando non lo ero”.
E addentrandosi più a fondo nelle decisioni adolescenziali di Paweł Cibicki, per quel che concerne la sua carriera, si evince che non sono mai state del tutto sue per davvero: o meglio, non sempre, ma per la maggior parte sono fondate sulle decisioni del padre. “Ho avuto un periodo in cui volevo smettere. Avevo 16, 17 anni, e dissi a mio padre: “Voglio lasciare il QFP”. “Dove sei? Non andrà da nessuna parte”. Ero in mezzo alla folla. Tutti gli U17 erano stati promossi a U19, ma ho avuto modo di andare, avuto modo di sedermi sulla panchina… E’ stata dura. Sono tornato a casa da un allenamento e dissi a mio padre: “mi fermo, non voglio più giocare”. Non era più divertente. Ma papà disse solo: “No, no, no. Allenati, allenati, allenati”. Tanto che quando Niva pone la fatidica domanda, il 23enne non può mentire. Quando gli viene chiesto se sarebbe diventato comunque un calciatore senza la figura di Tadeusz, Paweł deve ammettere di no: “Non sarei mai stato dove sono oggi. Mai. Se ci fosse stato qualcuno che si sarebbe interessato, non avrei avuto la disciplina. Probabilmente avrei giocato, ma sarei stato nella terza o quarta divisione, solo per divertimento“.
Ad un certo punto Paweł si assenta per andare in bagno, e Niva resta col padre a guardare delle fotografie scattate e raccolte in rigoroso ordine cronologico. Le si guardano in silenzio, pensando all’Europeo Under21 che doveva ancora cominciare. Tadeusz è combattuto, difficile accettare il figlio in maglia gialla e blu: “Non vivere nel proprio paese è particolare… Il sentimento per la Polonia è sempre più forte e sempre più forte, è molto importante per me”. Niva preme sulla ferita aggiungendo il sale: “Tuttavia siete molto orgogliosi di Paweł in ogni caso?”. La risposta è sincera, perché un padre non può che voler bene al figlio e supportarlo in tutte le sue scelte. L’orgoglio genitoriale prende quasi il sopravvento, e si tramuta in una frase memorabile. “Sì. Molto, molto orgoglioso. E dovrebbe essere molto divertente, prenderò con me fratellino di Paweł, che ogni giorno mi chiede: “Papà, quando abbiamo intenzione di andare? Quando andiamo andare?”. Di certo presto, molto presto. E sul suo sentimento, sulla difficoltà di essere polacco in Svezia: “Io non la penso così. Sono polacco, bevo alcuni liquori e allora nessun problema”.
Probabilmente neppure Paweł Cibicki ha in testa il motivo per cui ha scelto di giocare con la nazionale svedese. Non c’è neppure una vasta gamma di motivi chiari tra cui attingere e sceglierne uno, quasi sembra che questo ragazzo 23enne non conosca se stesso. O forse, come spiega lui, potrebbe esser stata una sensazione, un momentaneo istinto, un qualcosa di immediato e rapido. Forse la Polonia non l’ha mai messo nelle condizioni di far bene, o forse ancora Håkan Ericson ha inserito gradualmente Cibicki in un ambiente più tranquillo e più familiare. Del resto, mi vien da dire, è quasi normale che nella Svezia emerga un vero e proprio melting pot. In ogni caso Paweł ne parla così: “C’era qualcosa in Polonia che non mi faceva sentire perfettamente in ragione, non mi piaceva molto. Non era proprio quello che mi aspettavo, non tutto è stato più aperto. Non mi piaceva proprio esser tra tutti gli altri giocatori. Non voglio dire che sono stato ostracizzato o giù di lì, ma era una cosa che non mi sentivo al 100 per cento”. Lo interrompe Tadeusz brevemente, lanciando un: “Che diavolo, non potrebbe desiderare che io sia qui”. Poi però riprende la parola il figlio: “Non ero veramente felice quando ero lì“.
Niva a questo punto passeggia intorno al quartiere dei Cibicki, Hermodsdal, calciand0 una pallina lungo i corridoi d’asfalto che circondano le case. Una nuova vita. “Sai, sarà bella ogni partita ora. Non sono stato abituato a questo per essere così. Personalmente non credo che ho giocato male l’ultima ma da fuori non sembra buona, perché non ci sono stati gol, non come molti assist. Quando ho fatto la rete in bicicletta contro l’Halmstad… Era troppo. Faccio una buona partita, due gol, poi ho segnali di interessamento dal Manchester United. Non è la realtà”.
La rete di cui parla Cibicki la trovate in questo video. Inevitabilmente si torna a parlare della Polonia, come una gigantesca calamita che attira il ferro portando con sé ogni minimo discorso che tenta di allontanarsi dal tema praticamente bandito. Non ci saranno certamente stati meno occhi su Cibicki né sulla Svezia all’Europeo Under 21: “No, lo so. Ho già tutto ciò che dalla Polonia: “Tu sei un traditore. Sei solo una bambina che compra i vestiti all’Ikea”. Certamente niente è ancora deciso, perché fino alla prima presenza in nazionale maggiore tutto è ancora possibile e si potrebbe cambiare ancora: “Non si sa mai. Ma non si può continuare a pensare troppo su tutto ogni volta”. Come calciatore, ma soprattutto come uomo, Paweł è stato svezzato dai vari småplaner di Hermosdal. Ora Malmoe per l’attaccante rappresenta quasi un nuovo modello di vita.
Nel corso degli ultimi due anni la sua carriera è assimilabile ad un razzo lanciato da qualsivoglia base spaziale. La svolta in Allsvenskan l’ha portato tra le stelle del campionato. Congelato e messo da parte da un tecnico, se ne tornò a casa ma non ha mollato. Anzi, ha girato di nuovo e la scelta che ha preso è stata una decisione impossibile, che però non era pronto a fare. Ciò denota due cose: in primo luogo un’intraprendenza fuori dal comune, che è anche uno dei motivi per cui è così amato in campo, in secondo luogo una testardaggine innata. Ha preso una decisione forse troppo velocemente, ora deve stare in equilibrio con le sue gambe e subire l’onta di esser considerato un traditore.
Bonus – Mi sono permesso di approfondire l’immagine che vari più o meno autorevoli personaggi o enti hanno delineato su Cibicki. Non aspettatevi rose e fiori, ma se avete letto fino a qui lo avrete potuto immaginare da voi. Marcin Dobosz è un edotorialista per Przeglad Sportowy e ha commentato: “Non riesco a capire come abbia potuto comportarsi in questo modo, un comportamento frivolo. Ha lasciato disgusto”. Il tecnico dell’Under21 polacca Marcin Dorna ha così spiegato: “Abbiamo parlato con Pawel e suo padre diverse volte e mi ha detto che voleva giocare per noi. Ma è successo il contrario: egli non ha dato alcun motivo, ma è apparso semplicemente non all’altezza del campo di addestramento in Arłamów”. Infine, ecco l’opinione del sito polacco weszlo.com: “E’ come una bambina che ha impiegato molte ore in un centro commerciale solo per scegliere un vestito. Speriamo solo questo, Pawel, si fanno tutti i giorni le decisioni più veloci. Non si fanno domande come “carne di montone o pollo?” dette prima della chiusura del ristorante”.
Molto spesso vari Under21 si ritrovano che non riusciranno mai ad affermarsi nel gigantesco mondo del calcio. E cadono, con vari tonfi più o meno annunciati che danneggiano psicologicamente delle persone prima ancora che calciatori. In pochissimi casi tutto ciò è ridotto al minimo, Paweł Cibicki è fortunatamente uno di questi. Da Hermodsdal a Malmoe, passando per la Polonia. “Quando penso al Campionato Europeo Under21, penso che non dovrebbe fare alcuna differenza quello che si urla, quanto fischiano. Non mi toccheranno, devo essere più forte di quello. Io non sono più un ragazzino. Sto giocando laggiù, non sugli spalti”.
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