Se pensiamo alla Giamaica, pensiamo ad un’isola di spensieratezza e relax, pensiamo alla musica ed allo stile di vita di Bob Marley, o sul lato sportivo, pensiamo a Bolt e all’incredibile tradizione di velocisti, ma difficilmente penseremmo ad un calciatore giamaicano che sfonda nel calcio europeo. Perché di fatto, nonostante la storica qualificazione di Francia ’98, star calcistiche giamaicane non ne abbiamo ancora viste, in attesa dell’esplosione di Leon Bailey.
Gli inizi per strada e l’arrivo di Butler
Già ora l’ala giamaicana è un grande calciatore. Ma soprattutto, nonostante i soli 22 anni, è quasi un uomo maturo, che sin da piccolo ha dovuto fare i conti con una vita completamente diversa rispetto a quella che possiamo immaginare: niente feste, niente rum, niente gite al mare. Prima di tutto, bisognava cercare di sopravvivere in uno dei quartieri più pericolosi di Kingston, la capitale, e non era un’impresa facile, soprattutto per un ragazzino di una povera famiglia. E se non si è avvicinato alla criminalità, è solo merito del calcio, che riusciva a tenerlo impegnato per intere giornate, che passava per strada a dribblare i passanti e i suoi amici. Una vita durissima per un ragazzino, che però guarderà sempre alla sua infanzia come un periodo felice, perché lo ha reso l’uomo che è oggi.
Questo fino a quando, un giorno, Craig Butler, ora suo agente e padre adottivo, entrò nella sua vita e la cambiò completamente. Da un giorno Leon passò dalla strada ad un campo vero, con la maglia del Papine FC addosso, ma le giocate rimanevano quelle: il suo talento cresceva a dismisura, e così anche la sua voglia di mostrarsi in Europa, una terra che è immersa nel calcio. Anche Butler pensò che fosse arrivata l’ora, e presero un volo per l’Austria, con un bagaglio di grandi speranze.
Dalle delusioni al successo in Europa
Speranze che vennero quasi immediatamente frantumate: Bailey era ancora un giocatore da strada, mentre il calcio europeo era un calcio aristocratico, in cui senza nozioni tattiche era difficile emergere. E questo Bailey non riusciva ad assimilarlo, per cui durante le decine di provini che fece la storia fu sempre la stessa: il ragazzino è bravo, tecnico e veloce, ma non sa giocare con i suoi compagni. Quando tutto sembrava perduto e i due stavano per rientrare in Giamaica, si fece avanti l’Anif, squadra di un piccolo paesino dell’Austria, che tesserò Bailey e assunse Butler come osservatore. Questa volta sembrò che il ragazzo avesse imparato la lezione: cominciava a giocare con i suoi compagni di squadra e non si intestardiva in dribbling di troppo. Allo stesso tempo però dimostrava una qualità tecnica ed atletica di un altro livello rispetto ai coetanei, che gli valsero la chiamata del Genk, una delle eccellenza europee nella valorizzazione dei giovani.
Tutto però interrotto da un’irregolarità nel trasferimento, complicazioni che fecero saltare anche il suo passaggio ad Ajax e Bayern Monaco. Alla fine giunse in Slovacchia al Trencin, squadra sempre attenta a non lasciarsi scappare i grandi talenti. Bastarono due grandi stagioni nelle giovanili per riattirare l’attenzione del Genk, che, una volta regolarizzati i documenti, lo riportò in Belgio per rilanciarsi finalmente nel grande calcio.
L’esplosione al Genk e la chiamata dalla Germania
Numeri finalmente importanti, anche se il suo repertorio non era stato ancora completamente mostrato: si fecero avanti Chelsea e Manchester United, la sua squadra del cuore, ma lui non si sentiva ancora pronto per un passo talmente grande. Per la prima volta la sua ambizione si scontrò con la sua responsabilità, maturata negli anni passati in giro per l’Europa. Decise di rimanere un altro anno al Genk, ma vista la sua splendida Europa League già nel mercato invernale arrivò la chiamata del Bayer Leverkusen, che era proprio ciò che Bailey stava cercando: un club di buon livello e ambizioso, disposto a puntare sui giovani di prospettiva.
Ambientamento non facile certo, con i primi 6 mesi in Germania che misero a dura prova il carattere di Bailey, comunque intenzionato a diventare il più forte calciatore giamaicano della storia. Un breve ritorno in Belgio, quasi come fosse una necessaria boccata d’aria, prima di rimettersi in gioco in Bundesliga.
Da top a flop
Scommessa vinta, visto che fu il rookie dell’anno: finalmente in grado di giocare con e per la squadra, era diventato un’ala completa e moderna. I gol furono 9 e gli assist 6, numeri di tutto rispetto per un 21enne: di questo se ne accorsero tutti i principali big club, che si segnarono il loro nome e prepararono a svenarsi per Leon, che però declinò tutte le offerte, perché non si sentiva ancora pronto per il grande salto. A dimostrazione, ancora una volta, che la maturità non va di pari passo con l’età.
Bailey, rimosse tutte le distrazioni, ebbe anche modo di decidere per che nazionale giocare, e alla fine la sua fu una scelta di cuore: il 6 giugno del 2019 esordì con la Giamaica, proprio come voleva tutta la sua nazione, che con lui in squadra avrà diritto a sognare. Ma la nuova stagione era alle porte, e le ambizioni del Bayer erano altissime, dato che poteva disporre di due talenti importanti come il giamaicano e Kai Havertz, che avrebbero composto una delle coppie più promettenti della Bundesliga.
Aspettative però non rispettate, e la prima parte di stagione del Bayer Leverkusen è stata molto triste. La squadra era allo sbando, a dicembre si prospettava un’altra stagione mediocre, da Europa League, e Bailey sembrava assolutamente incapace di prendere per mano la squadra, sia per un infortunio che gli fece saltare tutto il mese di ottobre sia per degli evidenti limiti caratteriali, emersi per la prima volta dal suo arrivo in Europa. Probabilmente stava sperimentando per la prima volta cos’era portare sulle spalle le aspettative di un intero tifo, che l’aveva sempre incitato e che invece adesso lo fischiava sonoramente. In mezzo a questo buio, l’unica luce fu la doppietta al Bayern Monaco, che fece sperare in una sua clamorosa rinascita, che tuttavia non è avvenuta.
Un momento per riflettere sul suo futuro
Nel mercato invernale nessuna squadra si è fatta avanti per lui, che si è preso un momento di riflessione per decidere cosa fare l’anno prossimo: rimanere in Bundesliga o provare il grande salto? Una domanda su cui dovrà riflettere molto, per non commettere uno sbaglio che potrebbe bruciare la sua crescita. Una crescita che fino ad ora è stata eccezionale, tranne che per questa stagione, dove si sono manifestate le prime difficoltà, legittime e assolutamente normali per un giocatore di appena 22 anni, che forse era cresciuto troppo in fretta. Le strade di Kingston gli avevano insegnato cosa fosse importante nella vita, ma forse non gli avevano spiegato come gestire gli sguardi delusi dei tifosi, l’ultimo passo per fare davvero la differenza.
Federico Zamboni
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