La partita con l’Arsenal Tula è in bilico: 2-1 per lo Zenit, ma l’allenatore Semak non vuole rischiare, quindi chiama un cambio. Fuori Azmoun, dentro Erokhin. L’iraniano non ne vuole sapere e fa finta di non sentire, mentre tutta la panchina lo chiama a gran voce: sa che potrebbe ancora essere decisivo, ma Semak non ne vuole sapere. L’arbitro gli indica la linea laterale, ma lui si volta e si dirige verso la sua posizione in campo, ma Dzyuba, il giocatore più carismatico dello Zenit, non ci sta: lo prende in braccio e lo ruota di 180 gradi, e gli indica la panchina. Azmoun non ha il minimo cenno di reazione e si allontana a testa bassa. In questo semplice gesto si potrebbe riassumere l’amore calcistico che è sbocciato fra la stella iraniana e il gigante di Mosca: il primo segna e diverte con la sua tecnica, il secondo apre gli spazi e affronta a muso duro i robusti difensori russi.
Diversi ma vicini
Una storia d’amore che ha messo insieme due attaccanti completamente diversi. A partire dalle rispettive carriere: se il gigante russo non è mai stato particolarmente amato dal suo pubblico, sia per il carattere particolarmente irascibile che per una certa incostanza nelle prestazioni, l’attaccante iraniano è considerato il miglior giocatore della storia del suo Paese, e sin da giovanissimo è stato soprannominato “il Messi iraniano”. Lo scorso inverno, però, i loro destini si sono incrociati: Azmoun infatti è stato acquistato dallo Zenit per 12 milioni, dopo un ottima prima parte di stagione al Rubin Kazan.
Azmoun, colui che non vuole essere Messi
Già al tempo Sardar era un giocatore affermato, ma non aveva ancora trovato quella costanza di prestazioni che avesse potuto spingere un top club ad acquistarlo: ciononostante mostrava già caratteristiche estremamente interessanti, che gli avevano fatto meritare sin da giovanissimo la maglia della nazionale maggiore dell’Iran. In patria lo consideravano un predestinato, un profeta del calcio islamico, benché da giovanissimo non avesse assolutamente mostrato interesse verso questo sport, come ci racconta lui stesso. La sua passione era la pallavolo, sport che gli aveva fatto amare il padre, ex-pallavolista, mentre nel resto del tempo andava a cavallo. Un giorno, a 9 anni, ha trovato l’amore per il pallone fino a diventare il grande talento di oggi: un attaccante fisicamente molto forte (186 centimetri per 80 chili), capace di svariare su tutto il fronte d’attacco, dotato di ottima visione di gioco e bravissimo nel cercare la profondità, nonostante il buon dribbling gli garantisca quell’imprevedibilità che mette in crisi molti difensori, benché la caratteristica in cui eccelle sia la resistenza: giocatore instancabile, è in grado di correre per tutto il campo fino al 90esimo, rendendosi utile anche in fase difensiva. Per questo il soprannome “il Messi iraniano” ha sempre stonato, l’ha costretto a vivere all’ombra di un calciatore che lui non voleva e non poteva essere. Infatti il suo idolo è nato a migliaia di chilometri di distanza dalla Pulga, precisamente a Malmo: questo idolo è ovviamente Zlatan Ibrahimovic, per cui Sardar stravede. Ma non solo lui ammira il “Dio”, perché anche Dzyuba, il suo amato compagno, lo “venera”.
L’esplosione tardiva di Dzyuba
E proprio questo è l’unico punto in comune fra due attaccanti all’apparenza molto diversi, ma che nella sostanza non differiscono tantissimo. Dzyuba è infatti una prima punta di grande esperienza e fisicità, il che farebbe pensare alla classica “boa”, ovvero a quel punto di riferimento offensivo che deve solo pensare a proteggere la palla e a far salire i compagni, ma il gigante russo è anche molto altro. Sotto il suo fisico enorme e sgraziato, si nasconde infatti un attaccante dotato di buona tecnica e buona visione di gioco, capace anche di divertire il pubblico con giocate di grande classe: un vero e proprio talento nascosto, che ha faticato moltissimo ad emergere negli anni. Non a caso la sua maturazione è avvenuta molto tardi e solo negli ultimi 3 anni ha fatto parlare di sé, attirando anche l’interesse di vari top club, che vedevano in lui un attaccante completo, ma prima di tutto un grande uomo spogliatoio.
Questo nonostante Dzyuba abbia sempre avuto problemi dal punto di vista caratteriale, perché era e rimane un uomo sensibile, che si fa trascinare facilmente dalle emozioni e soprattutto dalle critiche. Per nascondere questa sua fragilità non si è mai astenuto dal criticare aspramente i suoi allenatori: per esempio ha definito Emery, suo allenatore ai tempi dello Spartak, un allenatoruncolo, per poi ritrattare e definirlo come un “pazzo”. Ha anche avuto un violento diverbio con Cherchesov, l’allenatore della nazionale, che infatti non l’ha convocato per la Confederations Cup, salvo poi non poterne fare a meno per il mondiale casalingo, dove Dzyuba ha fatto la voce grossa insieme a Cerysev. 3 gol in 5 partite e tante giocate di qualità, oltre a una maturazione incredibile in termini di leadership, ne hanno completamente rilanciato l’immagine a livello nazionale e mondiale.
Una questione di complementarietà
Inoltre l’arrivo di Azmoun sembra aver fatto maturare ulteriormente il russo, che è diventato un solido punto di riferimento nello spogliatoio, togliendosi finalmente di dosso la fama di uomo passionale, anche se tuttora Dzyuba rimane un giocatore che divide gli addetti ai lavori: un grande talento esploso tardi, o un giocatore mediocre che si crede il nuovo Ibrahimovic?
L’iraniano, al contrario, è un giocatore incredibilmente amato dal suo pubblico, ma non solo, perché alcuni top club europei si sono già mossi per acquistarlo la prossima estate, consapevoli del fatto che il suo talento non sia ancora emerso completamente. E Azmoun, dall’alto del suo soprannome altisonante, potrebbe nascondere ancora molte qualità.
Intanto però i due pensano solo a fare bene allo Zenit, insieme, uniti con un unico obbiettivo nella mente: la vittoria del campionato. Perché se c’è una coppia che ha fatto innamorare tutti i freddi spettatori del campionato russo, quella è formata da Artem Dzyuba e Sardar Azmoun. Il colosso di Mosca con il Messi iraniano.
Federico Zamboni