Arnautovic, sbaglia. Thuram, segna. E l’Inter, al netto delle oscillazioni in borsa europea del Marco, va. Quella dello scorso anno, in Champions, spesso si perdeva per strada. La versione 2024/2025 è ampiamente rivista: non entusiasma, ma porta a casa vittorie e punti preziosissimi, mettendo da parte le risorse necessarie (leggasi punti) per non farsi trovare impreparata al trittico di sfide con Arsenal, Lipsia e Leverkusen che diranno quante e quali ambizioni coltivare nell’Europa che conta.
Il peso diverso del Marco nell’economia di gioco e nel PIL dell’Inter sotto gli occhi della banca europea svizzera, sposta eccome gli equilibri. Arnautovic è evidentemente alla ricerca di sé stesso. Ha provato a ritrovarsi prendendosi, più per ossessione che per effettiva convinzione, la responsabilità di andare sul dischetto. Ed è proprio quando ci si ostina ad inseguire il gol a tutti i costi, che si rischia di sbagliare anche quelli più facili. Arnautovic spreca dagli undici metri e la sua partita, di fatto, finisce lì. Si pianta in campo, oppresso da un carico pesante divenuto insopportabile di frustrazione e rabbia. E proprio quando le azioni dell’Inter erano in ribasso, ci ha pensato l’altro Marco. Thuram, a mettere la firma sul valore aggiunto del cross proveniente da Dimarco e a rovesciare partita e prospettive: sette punti in classifica, un abbrivio determinante per provare a chiudere fra le prime otto complice anche stenti ed inciampi della concorrenza, ancora a disagio nel familiarizzare con il formato campionato, dove Inzaghi sembra invece straordinariamente a suo agio.
Un indizio è un indizio, due una coincidenza. Al terzo si inizia a pensare siano prove. E Simone Inzaghi, in questo inizio di stagione, ne ha disseminate abbastanza. Non è l’Inter bella e impossibile ma una squadra più matura: quando capisce che non è serata, e ci arriva anche abbastanza presto, preferisce gestire forze e cronometro, pregi, limiti e difetti. L’Inter è consapevole di avere nelle corde la possibilità di portare a casa sempre e comunque il risultato, a patto di rimanere concentrati e sul pezzo al 120% senza lasciandosi trascinare dagli eventi della partita. Il terzo clean sheet in Champions League non è casuale, anche perché non matura in campionato dove l’Inter non gioca a calcio con la stessa continuità e feroce concentrazione dello scorso anno, ma è ugualmente efficace e vincente perché semplicemente è più forte degli altri. In Champions, invece, si deve sudare ogni partita: e l’ha capito benissimo.
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