Doveva essere la partita dell’Argentina; doveva essere la prima volta di Messi, pronto finalmente ad alzare un trofeo con la nazionale; doveva essere la serata di Higuain, deciso a riscattare la delusione di un anno fa. E quando la finale è giunta ai rigori sembrava la chiusura perfetta del cerchio: i ragazzi del Tata Martino potevano vincere nella stessa maniera con cui avevano perso solamente 365 giorni prima. E invece no, il destino ha voluto che il sogno argentino si trasformasse in un incubo. A sorridere sono stati i cileni, infliggendo la terza sconfitta in altrettante partita all‘Albiceleste.
La storia si ripete. A distanza di un anno l’Argentina vede infrangere i propri sogni di gloria nella lotteria dei calci di rigore. Proprio come la scorsa estate il Cile è più freddo dal dischetto e si conferma campione dopo il successo di un anno fa. Eppure l’albiceleste era partita bene; la parata di Romero sul tiro di Vidal sembrava poter spianare la strada per la vittoria agli uomini di Martino, ma gli errori di Messi e Biglia hanno ribaltato la situazione portando la Copa alla nazionale cilena. Ora l’Argentina deve pensare al prossimo Mondiale e sperare di risolvere un eventuale finale prima dei calci di rigore, soprattutto se l’avversario dovesse essere il Cile.
Ormai le domande sorgono spontanee: come è possibile che Messi, considerato il giocatore più forte al mondo, sia tanto decisivo con il Barcellona quanto poco determinante con l’Argentina? Come può essere che uno che disputa, di media, tre finali ogni anno, quando deve giocare l’ultimo atto con l’albiceleste si blocca? Dopo la terza finale consecutiva persa, forse, la risposta è abbastanza semplice: il paragone con Maradona è troppo anche per uno come Messi. La pressione di dover trascinare la sua nazionale ad alzare un trofeo proprio come fece “el Pibe de Oro” non è facile da gestire. Soprattutto non è semplice arrivare ad un passo dal successo e poi doversi sempre arrendere sul più bello. Tre finali consecutive perse che fanno dell’Argentina un vero e proprio incubo per la stella del Barcellona.
E’ stato un fulmine a ciel sereno. “E’ finita, mi ritiro dalla nazionale”; queste le parole pronunciate da Messi al termine di Argentina-Cile, ennesimo capitolo di un amore mai sbocciato tra il talento blaugrana e l’albiceleste. Ventinove anni e la consapevolezza di aver fallito dove fa più male. Perché la nazionale non è come la squadra del club che puoi cambiare in qualsiasi momento; la nazionale è parte di te, è una seconda pelle e quando indossi la maglia del tuo paese accade qualcosa di magico che non puoi spiegare ma semplicemente vivere. Ecco perché quando perdi di fronte al tuo popolo fa più male. E forse è proprio per questo che Messi ha detto basta. Ci ha provato con tutte le sue forze, lo voleva più di ogni altra cosa il titolo con l’Argentina ma non ci è riuscito. E nonostante l’età sia dalla sua parte (al prossimo Mondiale avrebbe avuto 31 anni) ha preferito smettere; perché la paura di un altro fallimento, il terrore di vedere nuovamente il suo popolo in lacrime, hanno prevalso sulla voglia di essere più forte di un destino che non lo ha voluto protagonista con l’albiceleste. Si ritira Messi. Si può condividere o meno ma è una scelta che va rispettata, perché è un altro gesto di un campione coraggioso.
L’Argentina perde la terza finale consecutiva. Messi dice addio alla sua nazionale. Una serata che doveva essere una festa per i tifosi dell’albiceleste si è trasformata in un incubo. E se perdere la partita più importante del torneo fa male, è ancora più doloroso dover dire addio al tuo giocatore più forte. Messi e l’Argentina, una storia d’amore che non ha avuto un lieto fine.
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