I controversi alloggi popolari che la socialdemocrazia svedese volle costruiti nel quartiere di Akalla, un sobborgo a circa 15 km dal centro di Stoccolma, costituiscono ancor oggi uno degli emblemi di un’edilizia spicciola e non troppo attenta a rispecchiare determinati canoni estetici. Non era un problema però per le generazioni di immigrati che qui trovarono un rifugio in cui attecchire e un riparo presso cui far ripartire la loro routine. Portarono le loro tradizioni ibridandole con quelle della zona, rendendo a tutti gli effetti il quartiere un suq di etnie tra loro differenti e complementari. Ad Akalla, per esempio, Dennis Theodoridis stava macinando discreti affari vendendo il souvlaki in occasione delle gare casalinghe dell’Akropolis IF: quando il club traslocò allo Spånga IP, cinque chilometri più a nord, Dennis lo seguì e continuò a frigger carne mantenendo così la sua famiglia. Il signor Theodoridis era cresciuto con l’Akropolis, essendone stato tifoso fin da bambino in quanto quei ragazzi così somaticamente simili a lui portavano la Grecia – la sua terra natia – nel cuore e sullo stemma. I colori bianco e blu riprendono quelli della nazionale ellenica, il logo raffigura il Partenone al centro con un fregio dorico circolare a circondarne la sembianza.
«Ho lavorato duramente per il club per così tanti anni, cercando sponsor e procurando cibo per i calciatori. Ma non sono solo, siamo in otto/dieci persone che hanno fatto il viaggio insieme a me, addirittura molte volte abbiamo preso i soldi dalle nostre tasche». Il viaggio di cui parla Theodoridis non è una vacanza, ma una migrazione obbligata nel momento in cui – il 21 aprile 1967 – la Giunta rovesciò il governo greco stabilendo la dittatura dei colonnelli. Un regime che costrinse Dennis a espatriare: radunato frettolosamente un gruppo di amici partì per la Svezia, dove nel 1972 fu raggiunto da Babbis Faniadis che oggi gestisce le giovanili dell’Akropolis IF. «Di solito dico che sono l’unico che non è mai andato a casa. Noi comunque volevamo restituire qualcosa a chi ci ha aiutato, dando una mano ai giovani. Abbiamo lavato via i pregiudizi, quell’atteggiamento alla “tutti sono contro di noi”. La religione e l’origine non importano» racconta, definendo la sua squadra «l’IKEA del calcio» perché ha accolto tutti: «neri, gialli, verdi, bianchi, musulmani, cristiani e buddisti».
Alla fine degli anni Sessanta, i profughi greci vennero accolti con tiepido calore in questo sobborgo. Inizialmente vollero una squadra esclusivamente formata da greci, oggi invece di ellenici al cento per cento ve n’è solo uno, il 26enne Kozmas Bezos, che ha pure origini albanesi ed è il primo sostituto dei difensori titolari. Con il loro spirito spartano e la loro organizzazione ferrea per quanto familiare (per esempio, l’insediamento di un nuovo presidente avviene alla presenza di tutti i predecessori, che obbligano il loro successore al totale rispetto delle regole), nell’autunno 2015 l’Akropolis IF arrivò alle porte del grande calcio svedese. Si giocarono i playoff per accedere alla Superettan, la Serie B locale, sapendo di essere fuori luogo: «Se non hai un budget sufficiente per la Division 1, allora non giochi nella Division 1 oppure ti fai trascinare da noi vecchi». Per onor di cronaca, non solo il doppio playoff vide una loro sconfitta, ma al termine del confronto furono costretti ad andarsene da Akalla perché il loro stadio non era a norma.
Nato nel 1968 a Sundyberg, quartiere settentrionale di Stoccolma, è curioso come l’Akropolis IF fosse inizialmente una società di pallacanestro. Il calcio arrivò dopo, nell’estate 1969, seguito a ruota dalla sezione pallavolistica, mentre nel 1975 fu introdotta l’attività giovanile e negli anni Ottanta furono centrate quattro promozioni di fila. Infine, nel 1987, l’Akropolis IF ottenne la gloria: tutti i giornali svedesi parlavano della squadra, capace di esser la prima formazione fondata da immigrati a raggiungere la Division 3, che allora corrispondeva al quarto livello nazionale. Più tardi sarebbero state introdotte partnerships con altri club di Stoccolma affinché contribuissero al mantenimento in vita del club – l’AIK e il Brommapojkarna accettarono – ma ben presto la collaborazione svanì e i greci di Svezia rimasero soli. Non fu un problema: tornando in alto dalla quarta divisione, arrivando alle porte del professionismo e attirando un centinaio di spettatori in media, l’Akropolis IF aveva già ottenuto qualcosa di cui esser fiero: «Con piccoli fondi, facevamo in modo di acquistare calciatori e attrarre sponsor. Ma inseguivamo perfino i palloni durante l’allenamento, quanti dirigenti conoscete così puntigliosi?».
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