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Africa, l’alba di un nuovo viaggio

Passando davanti ad una qualsiasi agenzia di viaggio, molto facilmente vi imbatterete in offerte su uno dei più fantastici paradisi del mondo: Zanzibar. Zanzibar ha tutto: spiagge, mare, tranquillità, villaggi vacanze da sogno. Ma quello che più salta all’occhio, se mai avrete la fortuna di capitarci, sono i bambini che per le strade giocano a pallone. Cosa c’è di strano, direte voi? Nulla, se non la voglia di coltivare una passione che potrete facilmente leggergli negli occhi e che – ovviamente – vi riporterà indietro di anni, a quando eravate voi i bambini. Ed il calcio era tutto.

Dall’Amaani Stadium – primo impianto costruito dal governo cinese come regalo al paese nel 1970 – comincia un nuovo capitolo di una storia ormai decennale; quella della CAF Champions League, la massima competizione per fascino ed importanza del Continente Nero, arrivata alla cinquantaduesima edizione e – anno dopo anno – sempre più in evoluzione dal punto di vista dell’organizzazione. Fare retorica sul movimento calcistico africano è fin troppo facile, perché in ogni angolo del continente si respira semplicità anche nel gioco del calcio, figlia in primis della povertà dilagante, ma non solo. Già, perché se osservate i giocatori africani, quelli soprattutto che militano in patria, non potrete non notare il rapporto intimo, libero da vincoli, che instaurano con il pallone sin da giovani. La poca preparazione, oggi parzialmente mitigata da tecnici europei o da africani che hanno studiato in Europa, è l’unico freno ad una realtà che – grazie ad uno sterminato bacino d’utenza – altrimenti sarebbe esplosa da tanto tempo. A dare il calcio di inizio ufficiale sarà il Mafunzo FC, campione della Premier League di Zanzibar (torneo non riconosciuto dalla FIFA, così come non lo è la nazionale locale che si “appoggia” alla vicina Tanzania), che se la vedrà nella doppia sfida del primo turno contro il colosso Vita. Il club congolese è anche una delle squadre favorite per la vittoria finale, essendo reduce dall’ottima campagna di coppa della scorsa stagione e da un titolo in patria soffiato al fotofinish al Mazembe.

L’INVINCIBILE MAZEMBE

Il TP Mazembe è uno dei club più titolati d’Africa. Le sue fortune, dopo anni di anonimato, arrivano grazie a Moïse Katumbi Chapwe. Per spiegare chi è Katumbi non basterebbero tutte le parole di questo mondo, ma per inquadrarlo basti sapere che dopo anni di esilio forzato in Zambia (a causa di problemi giudiziari) ha fatto ritorno a Lubumbashi in pompa magna, accolto da una folla festante nello stadio della città da lui stesso finanziato: “Vi mentirei se non vi dicessi che ho fatto cose sbagliate, ma chi non le fa? In un sistema corrotto ci si deve arrangiare, ma questo non significa che lasceremo da parte la visione progressista del nostro paese“. Da governatore della provincia del Katanga (quella di Lubumbashi ndr) Katumbi ha avuto modo di costruirsi un impero economico per poi riversarlo nel Mazembe; così negli anni la società è diventata un modello per tutta l’Africa, ed ha cominciato ad inanellare una serie impressionante di titoli. Comprese cinque Champions League, tre delle quali vinte negli ultimi sei anni (le altre due risalgono agli anni ’60, poco dopo l’indipendenza dichiarata dal Belgio), due Supercoppe e la finale del Mondiale per Club nel 2010 persa contro l’Inter. L’ultima, quella del 2015, è stata una cavalcata straordinaria culminata con il trionfo sugli algerini dell’USM Alger. La politica di Katumbi è semplice: cresciamo i migliori e compriamo gli stranieri forti. Fino ad oggi la strategia ha pagato, ma da qualche tempo c’è un’altra società pronta a rompere le uova nel paniere dell’ex governatore del Katanga; è il Vita Club, che ha la sede nella capitale Kinshasa e che – si dice – sia molto vicina agli ambienti governativi della Repubblica Democratica del Congo. Il presidente dei “Delfini Neri” dal 2013 è Gabriel Amisi Kumba, salito alla poltrona tramite elezioni e Generale Maggiore dell’esercito congolese, indagato in passato anche per violazione dei diritti umani. Il Vita è il club più blasonato del paese con 13 campionati, 9 coppe nazionali, una Supercoppa ed una Coppa dei Campioni vinta nel lontano 1973. Nella scorsa Linafoot – il massimo torneo locale – ha trionfato all’ultima giornata dopo una grande rimonta durata diversi mesi. Società diverse, ma con un denominatore comune: il gioco. Organizzato, offensivo e divertente; il Mazembe ha il 4-3-3 come marchio di fabbrica, e nonostante abbia perso uno dei suoi talenti maggiori (Samatta, classe ’92, andato in Belgio) a livello di rosa rimane un passo avanti a tutte. In panchina siede il francese Patrick Carteron, che dispone della bellezza di quindici stranieri, quasi tutti di alto profilo. La stellina del Vita è invece un indigeno, si chiama Heritier Luvumbu e di recente è stato eletto miglior giocatore della Coppa d’Africa Under 23, vinta proprio dalla RD Congo. Classe 1994, Luvumbu è un centrocampista offensivo molto bravo nell’ultimo passaggio, e con una tecnica di base pazzesca. Su di lui pare ci siano già diversi club europei.

ETERNA RIVALITA’

L’Egitto è il paese che ha visto più volte i suoi club sul tetto d’Africa. Al Ahly e Zamalek si sono portati a casa ben 13 edizioni in totale, ed il trend – nonostante il calcio in Egitto sia costantemente appeso ad un filo socio-politico molto esile – sembra non doversi invertire. La rivalità è storica e terribilmente sentita; da una parte c’è la classe operaia, mediamente povera ed orgogliosa, mentre dall’altra la metà borghese della città, più ricca e forse meno accesa, ma pur sempre legata alla propria fede in modo viscerale. L’Al Alhy è la società con più vittorie in Champions League (otto) ma lo Zamalek segue con a ruota con cinque successi su sei finali giocate. L’apice del pathos venne raggiunto nel 1994, quando a Johannesburg proprio lo Zamalek si vendicò delle sconfitte in Coppa dei Campioni battendo i rivali per 1-0. La politica ha giocato un (seppur breve) ruolo nella temporanea pacificazione tra le due fazioni; a fine 2011 in piazza Tahrir le due frange manifestavano vicine, in prima fila, contro il regime di Hosny Mubarak, mentre nel 2012 – in piena Primavera Araba – a Port Said si consumò la tremenda tragedia in cui persero la vita 74 esponenti degli “Ahlawy“, parte più rappresentativa di una società che da sempre viene delineata da un forte stampo nazionalista. Anche da questo nacquero i vecchi dissapori: allo Zamalek è stato imputato il fatto di non essere egiziani, dato che nel 1911 furono degli stranieri a fondarlo (il primo presidente fu un belga). Oggi le due società sono nel bel mezzo della stagione, dove al termine del girone di andata l’Al Ahly guida la classifica con sette punti di vantaggio sullo Zamalek; in panchina c’è l’interìno Aziz Abdul Shafi, che pochi mesi fa ha preso il posto del portoghese José Peseiro dopo che lo stesso tecnico lusitano rilevò problemi ambientali nel lavorare al Cairo. Shafi è una vecchia gloria del club, e a più riprese si è seduto sulla panchina dei “Red Devils” per brevi interregni, in un club da sempre nazionalista riguardo la scelta degli allenatori. In campo le stelle sono quelle che compongono lo zoccolo duro della nazionale: dall’ex viola Hegazy a Gomaa, fino agli esperti Moteab e al capitano Hossam Ghaly, leader della mediana ed erede designato del grande Aboutrika. Per contro, lo Zamalek – anche date le sue origini – ha un’anima più internazionale, e nel recente passato sulla panchina si è seduto un grande manager come Jesualdo Ferreira, anche lui dimissionario dopo gli ultimi focolai di violenza scoppiati al Cairo. Lo zambiano Mayuka è il colpo di mercato messo a punto poche settimane fa, Mahmoud Kahraba il gioiellino da vendere al migliore offerente (classe 1994, già sei gol in campionato).

Champions League Africa Fonte: Goal.com
Champions League Africa
Fonte: Goal.com

OCCHIO ALLE OUTSIDERS: TUTTE LE POSSIBILI SORPRESE IN AFRICA

In chiave Champions League meritano molta attenzione le compagini maghrebine e le rappresentanti di Sudafrica e soprattutto Sudan. Sì, avete capito bene, perché a Karthoum e dintorni il calcio è una sorta di religione, e negli ultimi anni – grazie all’avvento di allenatori europei – le società locali stanno iniziando ad imporsi anche a livello internazionale. Nell’edizione scorsa Al-Hilal e Al-Merrikh sono arrivate fino alla fase a gironi, che tradotto significa entrare tra le prime otto del continente; entrambe con sede ad Omdurman (città che guarda la capitale dall’altra sponda del Nilo), si sono tolte parecchie soddisfazioni e in patria sono quelle che costantemente si giocano il titolo. L’Al-Hilal ha cambiato allenatore passando dal tedesco Pfister al francese Cavalli, ma ha confermato l’ossatura della stagione passata, mentre i “Leader” (squadra più titolata del Sudan) hanno perso il bomber Evouna. Mamelodi Sundowns e Kaizer Chiefs avranno il compito di confermare il buon momento del Sudafrica calcistico, presente solo una volta nell’albo d’oro della competizione (1995 con gli Orlando Pirates, sull’onda del periodo post apartheid); i “Capi” di Soweto, una delle più grandi township nere di Città del Capo, sono attrezzati per arrivare fino in fondo a patto che non ripetano errori del passato come venire recuperati in casa dopo un buon risultato in trasferta. Infine c’è il Maghreb, che nell’ultimo lustro è andato spesso vicino al trionfo con i vari Wydad, Esperance di Tunisi ed USM Alger, ma solo una volta – con l’Es Setif – è riuscito ad andare a fondo. Il calcio nordafricano non lo scopriamo di certo oggi; simile al nostro, viste le influenze sociali e sportive di inizio ‘900, privilegia la tecnica alla forza fisica, e produce talenti in quantità industriale, più spendibili alle nostre latitudini. Oussama Darragi ne è l’esempio lampante; ormai 28enne, il trequartista dell’Esperance è uno dei talenti più interessanti prodotti dal Maghreb, ma in Europa non ha mai impattato a causa del suo comportamento poco professionale. Tra le sei squadre al via occhio ai campioni incarica tunisini del Club Africain, campioni nel 1991, e allenati oggi da Ruud Krol: “C’è questa credenza comune che in Africa il calcio sia poco sviluppato – ha detto recentemente l’olandese al giornale della capitale Assabahbasta venire qui per capire che in molti, da noi, dovrebbero prendere esempio“. Un’inversione di tendenza ormai decennale, per un continente che ha tantissimo da offrire.

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