In estate era stato un grande bagliore, battuti Celtic e Mol Vidi esibendo un gioco a tratti collaudato e propositivo, sebbene Marinos Ouzounidis avesse preso in mano l’AEK solo da due mesi. La campagna giallonera di Champions League oggi vede però il δικέφαλος αετός – dopo cinque partite giocate e la condanna della matematica – occupar l’ultimo posto del gruppo E con zero punti. Il Bayern partiva nettamente avanti, ma in cuor suo la stampa ellenica si rifiutava di vedere Ajax e Benfica così superiori ai campioni di Grecia, specie in virtù della fatica profusa dai portoghesi nel liberarsi del PAOK all’ultimo turno preliminare. In quei giorni poteva consumarsi un idilliaco scenario da sogno (due greche alla fase a gironi di Champions League, un balzo in avanti mostruoso a livello di ranking), oggi le premesse rassicuranti hanno lasciato spazio a uno scenario terribile. Uscendo sconfitta pure al Da Luz, l’AEK potrebbe infatti diventare la prima squadra ellenica in tutta la storia a perdere tutte e sei le partite nella massima competizione europea per club. Un trend che, di questi tempi, lo scorso anno diede vita a grandi sfottò nei confronti dell’Olympiakos che – in un girone con Barcellona, Juventus e Sporting Lisbona – ottenne un solo punto pareggiando coi blaugrana al Karaiskakis. Ora, la sorte rende ai campioni di Grecia una pariglia durissima.
Numeri simili non si vedevano dall’Europa League 2011/12, quando l’AEK non riuscì a oltrepassar la fase a gironi ottenendo cinque sconfitte – due contro Anderlecht e Lokomotiv Mosca, una contro lo Sturm Graz – prima di salvar l’onore sconfiggendo gli austriaci per 3-1 ad Atene. Il fatto che le uniche due reti siano state segnate da un’ala – Viktor Klonaridis, nel 2-3 col Benfica allo Spyros Louis – è un campanello d’allarme corposo. In attacco non è stato rimpiazzato Araujo, mentre Marko Livaja ha perso la testa contro l’Ajax facendosi espellere e regalando agli olandesi il calcio di rigore che ha spalancato la strada verso un’ulteriore sconfitta. I nervi del croato riflettono quelli dell’ambiente circostante, viste le pietose scene che hanno acceso i riflettori sullo Spyros Louis ben prima che la partita contro gli ajacidi cominciasse. I molotov lanciati in risposta al saluto romano di un tifoso avversario sono solo l’estremizzazione dei tafferugli scoppiati alla vigilia della sfida, coi tifosi del Panathinaikos alleatisi a quelli dell’AEK per una rappresaglia che l’Uefa ha intenzione di punire con una multa salatissima.
La contestazione ha preso di mira Dimitris Melissianidis, presidente del club, cui vengono rimarcate la più disonorevole campagna di Champions League mai vista e l’assunzione di Marinos Ouzounidis, finito sulla graticola per un novembre da cancellare (una vittoria, un pari e quattro sconfitte) e per un 4-2-3-1 mal digeribile né spiegabile con la sola partenza di Araujo. L’ex tecnico del Panathinaikos paga il non avere un piano b, costretto a insistere nello schierare Petros Mantalos e Bakasetas sugli esterni malgrado nessuno dei due abbia il ritmo per la doppia fase. Paradossalmente, le uniche due ali vere in rosa (Lucas Boyé e Giannis Gianniotas) patiscono la panchina e Marko Livaja da trequartista non giustifica gli 1,8 milioni investiti nella sua permanenza. Da giocatore chiave lo scorso anno a spettro, l’involuzione del croato è stata mascherata da qualche nota positiva (l’ex Roma Ezequiel Ponce e la grinta dell’ex Torino Boyé, unici a salvarsi insieme a Hult,Bakakis, Alef e Galanopoulos). Dopo la sconfitta contro il Panetolikis, Melissianidis ha poi convocato la squadra per criticarne l’operato: «Se qualcuno non vuole stare in squadra, può dirmelo e andarsene. Voi tre che non volete rinnovare i vostri contratti, dovreste portarmi delle offerte di trasferimento a gennaio» indicando tre calciatori (Vasilis Lambropoulos, André Simões e Tasos Bakasetas) immediatamente messi fuori rosa per il resto della stagione. Un ultimatum duro, un segnale lanciato in un momento in cui la pazienza è ai minimi termini.
Le scuse non bastano: «Impareremo da questa Champions League – ha ammesso lo svedese Niklas Hult – essere qui è quello che vogliamo noi calciatori, il club e i tifosi». La situazione è ancor più paradossale perché a maggio l’AEK si laureava campionessa di Grecia a 24 anni dall’ultima volta, plaudendo finalmente la costruzione del nuovo stadio di Agia Sofia, un miraggio diventato realtà dopo anni di battaglie per l’ottenimento dei permessi necessari. Di colpo, c’è stato il tracollo: in estate sono partiti i pilastri del gruppo (Vranjes, Christodoulopoulos, Shojaei e Jakob Johansson) e un clamoroso danno d’immagine ha investito Nea Filadelfia. In campionato poi l’AEK è settimo a -12 dal PAOK primo. Senza girarci intorno, l’Aquila sta precipitando.
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