Nell’ultimo anno ben quindici squadre dell’attuale Premier League hanno messo a segno il colpo più costoso della propria storia, un vero record per i cinque maggiori campionati europei. Nulla di nuovo rispetto agli anni passati scanditi dagli affari record dei club inglesi, ma il fatto che fra le squadre “spendaccione” si annoverino nomi come Bournemouth e Huddersfield -due fra le compagini più modeste presenti nel massimo campionato- fa riflettere e non poco su quanto l’economia made in England stia influenzando prepotentemente anche il mondo del calcio, ambiente in cui i prezzi dei giocatori sembrano salire vertiginosamente di stagione in stagione.
A far riflettere tanto non sono le cifre spese dalle singole squadre -ricordiamo i centocinque milioni utilizzati dal Manchester United per ricomprare Pogba, ceduto a zero alla Juventus, oppure i continui affari d’oro dell’Arsenal che ogni anno mette in scena un calciomercato faraonico- ma il divario quasi incolmabile con gli altri grandi campionati: nella stagione appena finita in Inghilterra sono stati ben 920 i milioni stanziati per il calciomercato; in Italia, nazione che si trova al secondo posto di questa speciale classifica, ne sono stati investiti “appena” 543, poco più della metà. Ad influire fortemente in questa situazione non è la solita retorica della sterlina vista come moneta forte e neanche la grande forza economica inglese che, ricordiamolo, dovrà ancora stabilizzarsi per il colpo brexit, situazione al momento soltanto teorizzata ma non messa totalmente in atto, che potrebbe sortire effetti inaspettati e forse non del tutto positivi -ai futuri economisti l’ardua sentenza-.
A segnare in modo drastico il football inglese per quanto riguarda il mercato è una complessa serie di fattori, fra cui l’intelligente spartizione dei diritti televisivi, argomento sempre tanto dibattuto nei salotti sportivi italiani dove a gran voce si richiede più equità fra le prime della classe e le squadre di bassa classifica. In Inghilterra invece vige questo perfetto equilibrio: il tutto è coadiuvato dai costi dell’intero pacchetto Premier League, tanto desiderato i tutto il mondo -con particolare interesse di Cina e Giappone- grazie al suo sempre crescente appeal che ha contribuito ad aumentare il suo valore fino a farlo stabilizzare al di sopra di 6.5 miliardi di euro, cifra che complessivamente le diverse tv hanno dovuto sborsare per assicurarsi i diritti del campionato inglese.
A rendere ancora più stupefacente questa tanto acclamata Premier, come accennavamo prima, è anche la spartizione dei suddetti diritti fra le squadre partecipanti al massimo campionato, un metodo quasi rivoluzionario che sicuramente aiuta e non poco anche i piccoli club a spendere cifre consistenti durante le sessioni di calciomercato. Tali diritti vengono distribuiti per il 25% in base ai passaggi tv di ogni squadra, per un altro 25% in base al piazzamento nella classifica finale (qui il quadro completo) e per il 50% in parti uguali. I diritti esteri invece vengono totalmente distribuiti in parti uguali, permettendo ad ogni squadra di guadagnare almeno più di 150 milioni di euro sicuri ogni stagione, un budget niente male per coprire tutte le spese.
Non sottovalutiamo poi il fattore merchandising che in Inghilterra prevale più che in ogni altro Paese: sciarpe, maglie, zaini e gadget di vario genere vanno totalmente a ruba ogni anno, grazie anche ai grandi nomi che approdano continuamente in Premier League creando non poca pubblicità -si pensi che nella scorsa stagione la sola vendita delle maglie del Manchester United di Zlatan Inrahimovic ha ripagato quasi totalmente l’affare Pogba-.
È per queste ragioni che il Crystal Palace ha potuto sborsare 31.2 milioni per Christian Benteke (precedentemente pagato più di 46 milioni dal Liverpool), mentre il Manchester City ne ha potuti spendere ben 74 per assicurarsi le prestazioni di Kevin De Bruyne, cifre davvero da capogiro che al momento possono permettersi soltanto i club inglesi. Ne vale davvero la pena? A conti fatti, confrontando le squadre d’oltremanica con le altre rivali europee, le grandi spese non stanno esattamente dando i frutti sperati: l’unico risultato raggiunto in campo europeo è l’Europa League alzata al cielo qualche mese fa dal Manchester United, che in campionato ha fatto molta fatica per ingranare dopo un calciomercato faraonico.
In campo nazionale però l’abbondanza di sterline permette ad ogni club di investire non soltanto in prima squadra, ma anche nelle varie Academy che ritornano ad avere il lustro di un tempo: oltre quella del Southampton, una vera fucina di talenti riconosciuta in tutta Europa, anche squadre come Chelsea e Liverpool hanno deciso di spendere qualcosa per aiutare lo sviluppo delle giovani promesse, da crescere in casa e mandare in prestito in giro per l’Inghilterra in modo da dargli la possibilità di giocare con più frequenza e tornare alla casa base con le ossa più forti. In questo senso gli sforzi economici si vedono eccome: simbolo di questa nuova linea di pensiero è lo strabiliante trionfo della nazionale inglese nel Mondiale Under 20, vetrina di grandi talenti dominata dai baby Tre Leoni, trascinati dai gol di Solake, le giocate di Ojo e le grandi parate di Woodman.
Il grande potere economico della Premier League sembra destinato a rafforzarsi sempre di più: il calcio è diventato uno spettacolo per tutti, da guardare comodamente seduti sul divano oppure negli stadi ultra tecnologici, dotati di negozi, ristoranti e qualsivoglia intrattenimento che, più che renderli templi dello sport più amato al mondo, li avvicina ai più monotoni centri commerciali, dove perdersi assieme alla famiglia il sabato pomeriggio -eccezion fatta per i 22 uomini che “disturbano” la piacevole passeggiata giocando con un pallone-.
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