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A casa Forsberg comanda la moglie

La vita a Sundsvall non è mai stata né chiassosa né tantomeno frenetica. Certo, si sentono tutti i 50mila abitanti, che ne fanno la quattordicesima città più popolata di Svezia, ma la tendenza all’introversione che caratterizza il popolo svedese è ben radicata e conferisce all’ambiente una perpetua tendenza al silenzio. L’archetipo del cittadino è così composto: individuo barbuto, mezz’età, pescatore o tagliaboschi, immerso nel suo lavoro e poco dedito alla convivialità. Concorda con me Emil, che di cognome da Forsberg e veste la numero 10  della Svezia da quando Zlatan Ibrahimović ha lasciato la nazionale. Il confronto tra i due è impari, specie sotto il profilo della personalità. Al biondo Emil criticano quasi la testa bassa e quell’atteggiamento pressoché sempre reverenziale, cosa che Kung Ibra ha prontamente adattato in modo da far prevalere il suo ego ovunque: in campo, nelle pubblicità, davanti ai giornalisti. Una spiegazione a ciò arriva dalla genetica, perché Zlatan proviene dalla chiassosa Malmö del sud mentre Emil Forsberg è nato nella settentrional Sundsvall: Tutti sanno che gli svedesi sono silenziosi e rispettosi. Bene, noi del nord siamo ancora più riservati. Per fare un paragone, è come dire che gli svedesi del sud sono praticamente degli spagnoli in confronto a noi”.

 

Figlio di un padre che col Göteborg aveva anche avuto l’occasione di debuttare e segnare in Coppa dei Campioni, il più difficile da cui strappare un complimento non è lui, che anzi ha sempre incoraggiato il figlio in più di un’occasione (“Spero che possa far meglio di me e del nonno” aveva confidato all’Aftonbladet qualche anno fa). In casa Forsberg, il critico peggiore da accontentare è la moglie di Emil. Si chiama Shanga Forsberg, è una calciatrice professionista che come il marito ha giocato in RB Lipsia e nazionale svedese. Tra le mura domestiche è affettuosamente definita “lo sceriffo” per gli incessanti rimproveri rivolti al marito. Roba tipo sei stato un disastro, ti sembra un cross quello?”, “perché non eri lì in marcatura?”, “qui avresti potuto far molto meglio”. Shanga è un po’ la versione estroversa (e in gonnella) di Emil: a detta di tutti i due si completano perfettamente a vicenda, perché Emil come detto è timido mentre Shanga è l’esatto contrario. La sua famiglia vanta origini del Kurdistan, assieme alle quali ha assimilato una pronunciata schiettezza ammessa in primis dal coniuge: “In Kurdistan le persone non sono riservate come in Svezia, loro se vogliono dire qualcosa lo dicono e se hanno un problema lo affrontano”.

Sotto la continua spinta della moglie, dunque, Forsberg sa che al termine di ogni partita sul terreno di gioco ne comincerà una nuova a casa, probabilmente pure più ostica. Mi ha sempre spinto a migliorare ammette d’altro canto Emil, che oggi non gioca più alla Norrporten Arena di Sundsvall né tantomeno allo Swedbank Stadion di Malmö, palco improvvisamente rimpicciolitosi, per un attore dalle sue qualità. Il salto in Zweite Liga col Lipsia fu inizialmente un gigantesco punto interrogativo, per un giovane e introverso Emil che oltre ai soliti problemi (ambientamento, nuovi compagni, nuovo allenatore e nuovi schemi) doveva far fronte al primo trasferimento fuori dalla Svezia nella sua giovane carriera e soprattutto alla discrepanza linguistica. Se fosse stato Shanga anziché lui, parole sue, probabilmente avrebbe avuto meno difficoltà. Così non è stato, ma è anche grazie al fondamentale aiuto della moglie, conosciuta tredici anni fa e sposata il 13 luglio 2016, dopo un Europeo disastroso per la Svezia, che Emil ha già superato il padre Leif e il nonno Lennart. La Champions toccata col Lipsia è stata il coronamento di un sogno, i giudizi severi nel post-partita si sono tendenzialmente diradati e in casa Forsberg “lo sceriffo” Shanga ha ridotto esponenzialmente i suoi biasimi. In tutto questo, nel frattempo, Leif ha raggiunto Emil in Germania e il siparietto familiare fa sorridere: Papà è così mite che Shanga lo chiama Teddy, l’orsacchiotto.

Matteo Albanese

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