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6 giorni alla finale di Copa Libertadores: cinque giocatori che non ricordavi in maglia Flamengo

Il Flamengo torna in finale di Copa Libertadores dopo l’epica sfida di Lima del 2019 contro il River Plate e solo le due sfortunate sfide con il Racing hanno impedito un altro cammino scintillante nel 2020. Il Mengão è sicuramente la squadra simbolo del Sudamerica di questi anni e quindi non sorprende vederlo per la seconda volta all’ultimo atto in tre anni e contro il Palmeiras si gioca la superiorità di questo periodo storico. I carioca sono sempre stati una delle squadre più affascinanti nella storia del calcio brasiliano per la presenza di grandissimi campioni nelle proprie rose, ma forse non ricordavate questi cinque.

MARCIO AMOROSO
Uno dei centravanti più apprezzati nella Serie A di fine anni ’90, classe, tecnica e spietatezza in area di rigore. Marcio Amoroso abbandonò molto presto il Brasile e il suo Guaranì e a diciotto anni scelse a sorpresa di passare in Giappone al Verdy Kawasaki dove segnò a raffica. L’esperienza asiatica fu utile, ma voleva giocare in campionati di maggior livello così tornò al Guaranì dove per due stagioni si rivelò uno dei migliori marcatori del campionato e ad acquistarlo fu il Flamengo. In rossonero vinse il campionato carioca e debuttò in nazionale, ma la sua esperienza durò molto poco, dato che su di lui si era fiondato l’Udinese. A Udine formò con Bierhoff una coppia memorabile che fece le fortune del club friulano prima di passare per due stagioni al Parma. Nel 2001 andò al Borussia Dortmund dove vinse un campionato e dopo un lungo girovagare ripassò ancora dall’Italia per poche apparizioni con il Milan prima di chiudere in Grecia nel 2009.

 

 

 

PABLO ARMERO
Terzino dalla favolosa velocità nella progressione, ma che ha sempre fatto fatica nel trovare quella continuità di rendimento che gli avrebbe fatto fare il salto di qualità. Pablo Armero si fece conoscere al grande pubblico a diciotto anni, quando si prese la fascia destra dell’América di Calí e per quattro stagioni fu uno dei migliori del campionato colombiano. Nel 2008 venne dunque acquistato dal Palmeiras e le sue prestazioni gli valsero prima di tutto la chiamata in nazionale e poi dopo due stagioni l’approdo all’Udinese. Sotto la guida tecnica di Francesco Guidolin visse le sue stagioni migliori venendo spesso considerato come uno dei migliori laterali della Serie A e per questo motivo venne acquistato dal Napoli. Sarebbe stato ideale per il modo di giocare di Walter Mazzarri, ma arrivò sotto la guida Benítez e faticò tantissimo tanto da iniziare dopo solo un anno e mezzo vari prestiti. Prima al West Ham, poi al Milan e infine al Flamengo dove però scese in campo solamente quattro volte, prima di tornare a Udine e chiudere la carriera.

 

 

 

CAIO
Avrebbe dovuto essere l’astro nascente del calcio brasiliano, ma quell’attaccante raffinato e poco incline alla battaglia rimase sempre e solo una bella speranza. Caio iniziò con il San Paolo e riuscì a vincere alcuni trofei dimostrando le sue abilità. Nel Mondiale Under 20 1995 fu eletto miglior giocatore e allora fu l’Inter ad acquistarlo. A Milano si stava vivendo un periodo di grandi cambiamenti e il ragazzo non riuscì a inserirsi giocando solo sei partite. Passò al Napoli, ma anche all’ombra del Vesuvio fu estremamente deludente, e dopo due anni in Italia fu il Santos a venirgli incontro. Tornò a segnare dopo due anni di digiuno riuscendo a vincere il Torneo Rio-San Paolo. A fine anno andò al Flmanego dove però non riuscì a riprendersi. Tante presenze, ma sole tre reti e così tornò al Peixe a inizio millennio senza più lasciare il segno e con continui cambi di casacca trascinò la sua carriera fino al 2006.

 

 

EDMUNDO
Avrebbe probabilmente potuto diventare uno dei più grandi attaccanti della propria generazione ma un carattere molto difficile ne limitò sempre il rapporto con squadra e allenatori. Edmundo iniziò con il Vasco da Gama e a ventidue anni passò al Palmeiras, squadra che gli permise di spiccare il volo. Vestendo la maglia del Verdão riuscì a mantenere ottime medie realizzative e fu così che si guadagnò la maglia da titolare del Brasile nella Copa América 1993 e 1995. Proprio nel 1995 passò al Flamengo, ma la sua esperienza a Rio de Janeiro fu molto breve e sfortunata, con sole due reti messe a segno, e per tornare a spiccare il volo dovette andare al Corinthians dove segnò tantissimi gol prima del passaggio alla Fiorentina dove divise la critica. Il talento era sotto gli occhi di tutti, ma le liti con Trapattoni divennero insostenibili e così dopo due stagioni tornò ancora al Vasco da Gama. Nel 2000 passò al Santos dove riuscì a realizzare tredici reti in un singolo campionato riconquistando per l’ultima volta la Seleçao. Provò dunque il ritorno in Italia al Napoli ma fu tutto inutile. Si trascinò senza successo fino al 2008, anno in cui O Animal chiuse con il calcio.

 

 

GARRINCHA
Uno dei giocatori più forti di sempre nella storia del calcio, un’ala capace di giocate impossibili e che è stato in grado di lasciare un segno indelebile nella storia del calcio brasiliano. Mané Garrincha è stato l’uomo e il simbolo del Botafogo per dodici anni, fin dal 1953 quando quel ventenne dalle gambe storte iniziava a infiammare il pubblico di Rio de Janeiro. Grazie a lui il Fogão visse delle grandi annate, soprattutto con la consapevolezza di avere tra le proprie fila uno dei migliori giocatori della nazione. Nel 1958 vinse da protagonista il Mondiale in Svezia, ma fu soprattutto in quello del 1962 che fece la differenza rivelandosi il miglior giocatore di tutto il torneo dominando la concorrenza e sfruttando a suo vantaggio l’infortunio subito da Pelé. Nel 1965 lasciò il suo grande amore e ormai a trentadue anni era un giocatore finito, ma la sua presenza era ancora garanzia di incasso al botteghino. Giocò con Corinthians, Vasco da Gama e Atlético Junior prima di passare al Flamengo per due annate ma dove fu poco più che una comparsa. Le partite ufficiali furono solamente cinque, dieci in totale contando le amichevoli e quello con il Mengão fu di fatto il suo addio al calcio, escludendo un piccolo ritorno anni dopo nell’Olaria.

Francesco Domenighini

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