11 settembre: dal 2001, questa data si associa a una delle pagine più buie della storia dell’umanità. 23 anni dopo l’attentato che ha cambiato per sempre l’occidente, il ricordo di quel giorno, se legato al calcio, è ancora vivo, soprattutto a Roma, sede di una partita surreale di Champions League fra Roma e Real Madrid.
Quel giorno di settembre era molto particolare per i tifosi giallorossi. La Roma, fresca del titolo di Campione d’Italia “scucito” alla Lazio e con ancora il sapore in bocca dei festeggiamenti per la vittoria in Supercoppa Italiana contro la Fiorentina, torna a giocare in Champions League dopo anni di assenza e quella amarissima sconfitta di 17 anni prima contro il Liverpool in finale. Il ritorno nell’Europa che conta coincide con un appuntamento di grande fascino: all’Olimpico è atteso il Real Madrid.
E sino al primo pomeriggio nella capitale, dove c’è la consapevolezza di avere una squadra in grado di arrivare a giocarsi la finale a Glasgow, non si parla né si attende altro. Sino a quando il mondo si ferma: il primo attacco arriva alle 8,46, le 14,46 italiane, quando alcuni i tifosi sono ancora a caccia degli ultimi biglietti nelle ricevitorie mentre chi è già in possesso del tagliando inizia a programmare il lungo pomeriggio di avvicinamento all’evento.
A metà pomeriggio il mondo si è rovesciato, nel senso più pieno del termine. Quando la portata dell’attentato assume i contorni della tragedia le squadre sono ancora in albergo. La scelta, oggettivamente, non è facile: c’è da gestire l’ordine pubblico dentro e fuori dallo stadio dove si vive un’atmosfera surreale: 70 mila persone all’interno di un impianto a due passi dalla Farnesina, con sentimenti che si possono solo immaginare. Si aspetta solo che finisca la partita, non importa come, per tornare il prima possibile a casa, ognuno dai propri cari.
Resta impressa la sensazione di una psicosi collettiva. Si arriva a temere il passaggio di un aereo, assolutamente normale perché la rotta per l’atterraggio prevede il sorvolo dello Stadio Olimpico, nessuno osserva il rettangolo di gioco. Sentimento comune a tutto il mondo e su tutti i campi dove si dovrebbe celebrare la prima giornata della competizione più importante d’Europa.
Per la cronaca, la sfida dell’Olimpico si chiuderà con il punteggio di 1-2, reti di Totti, Guti e Figo. Il fischio finale è una liberazione. “Non si doveva giocare”, le parole durissime di Fabio Capello e Franco Sensi, allenatore e presidente della Roma. Il giorno dopo, la UEFA sospenderà la giornata e posticiperà le sfide di 30 giorni, ma resta ancora oggi la convinzione che quella partita non si sarebbe dovuta giocare.
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