“Siamo l’Italia”. Era questo il titolo della copertina nel giorno del ritorno dello spareggio contro la Svezia. Un grido disperato, di attaccamento alla storia e alla tradizione, più che di speranza per l’attualità. “Siamo l’Italia” torna anche oggi, anche se non sui titoli dei giornali, ma come appello urgente per mettere al sicuro ciò che attualmente ci appartiene, il primo posto nel girone.
Nel 2017 quel titolo assumeva un significato completamente differente da quello di oggi: nella sfiducia verso un gruppo reduce da un cammino molto deludente, fatto di brutte sconfitte, ma anche di tristi risultati utili, culminati con quella sconfitta del match d’andata che gettava in una disperazione giustificata tutto il Paese. La vera speranza pur affrontando una nazionale comunque alla portata, era quella che l’Italia in quanto tale, avrebbe fatto valere la sua grandezza storica di fronte a un ostacolo così difficile.
“Essere l’Italia” allora era una necessità, uno sforzo, un qualcosa da ricercare in altri ambiti. Essere l’Italia oggi invece dovrebbe essere qualcosa di naturale: non è un richiamo alla storia, è un richiamo all’attualità, a renderci conto di chi siamo davvero, di poter ottenere ciò che ci compete. Siamo il gruppo del cammino netto verso Euro 202o, il gruppo che quell’Europeo poi l’ha vinto, quello del record storico di partite senza sconfitte, del doppio podio nelle due competizioni continentali. Oggi chiedere di essere l’Italia è molto più semplice, sia per il valore di chi scende in campo, sia per l’obiettivo da raggiungere, quello di segnare almeno 2 gol a un’Irlanda del Nord già fuori dai giochi e non a una Svezia con negli occhi il traguardo dell’impresa immortale.
Siamo l’Italia e oggi non c’è nulla di più confortante, con l’obiettivo di tornare a rendere ordinario un obiettivo che non può sfuggire. Questa volta è diverso, questa volta siamo pronti.