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La storia del Ludogorets è fatta di yogurt e farmaci

Nell’estate 2013, il Basilea eliminò il Ludogorets ai playoff per accedere alla Champions. I bulgari finirono in Europa League, dove ottennero 16 punti su 18, eliminarono PSV e Dinamo Zagabria e il 20 febbraio 2014, ai sedicesimi di finale, batterono la Lazio all’Olimpico. Il ritorno si giocò sette giorni dopo al Vasil Levski di Sofia, dove un gol di Juninho Quixada all’88’ valse il 3-3 finale e l’eliminazione dei biancocelesti, malgrado la quale – nel post partita – il presidente Lotito s’incontrò amichevolmente col pari ruolo Kiril Domuschiev. Questi si complimentò per la bellezza di Olimpia e chiese dove potesse procurarsi un’aquila simile. La Lazio scelse in amicizia di prestare Olimpia ai biancoverdi il 13 marzo, giorno degli ottavi di finale col Valencia: portò sfortuna (finì 0-3) ma di lì a poco il Ludogorets acquistò la sua aquila e indisse un sondaggio affinché i tifosi ne scegliessero il nome. Da allora Fortuna (4446 voti, contro i 3076 di Gloria) spicca il volo a Razgrad.

In quel’occasione il Ludogorets giocava a Sofia, oltre 200 miglia di distanza, perché la Ludogorets Arena di 6.000 posti non soddisfava i requisiti UEFA. Nell’agosto 2013 iniziarono dunque i lavori di ammodernamento, la capienza arrivò a 12.500 posti e il 15 maggio 2015, con un 4-1 sul Lokomotiv Sofia, fu inaugurato un settore di oltre 2000 posti intitolato a Cosmin Moți. Accadde infatti che il 27 agosto 2014, a Sofia, il Ludogorets avesse ricevuto lo Steaua per l’ultima serie di playoff prima della Champions. Forte di una vittoria per 1-0 maturata all’88’ della gara d’andata, i romeni gestirono fino al 90’ la partita di ritorno, quando però un gol di Wanderson condusse ai supplementari. Qui al 119’ il portiere del Ludogorets Vladislav Stojanov fu espulso. Il tecnico Dermendzhiev aveva già utilizzato tre cambi, dunque Moți indossò i guantoni e si recò volontariamente tra i pali, dove ipnotizzò due rigoristi dello Steaua. Per questo al difensore eroe, che spiegò di essersi motivato guardando dei video di Jerzy Dudek nella finale di Champions 2005, venne dedicata la tribuna.

Nel 2012 il Ludogorets vinse il primo campionato bulgaro: da allora otto titoli consecutivi, che potrebbero diventare nove visto il vantaggio di 7 punti sul Levski. Nel 2012 vinse il treble, così come nel 2014: in totale, anche due Coppe di Bulgaria e quattro Supercoppe impreziosiscono il palmarès di un club giovane, fondato nel 2001 su iniziativa di Aleksandar Aleksandarov e Vladimir Dimitrov. Teoricamente quel club si chiamava Razgrad 2000, ma nel 2006 – dopo il fallimento del Razgrad, fondato nel 1945 e reduce da 45 anni in seconda lega bulgara – il Ludogorets ne acquistò la licenza.

Nel 2010, poi, arrivò l’oligarca Kiril Domuschiev, all’epoca quarantenne divenuto miliardario grazie a un fondo di privatizzazione che trasse vantaggio dal dissolvimento del sistema comunista. Nel 2011, il suo Ludogorets vinse il girone est della seconda serie, l’anno dopo vinse il campionato al primo tentativo (fatto che i bookies quotavano 50/1) e da allora come detto – non senza qualche spavento: il titolo nel 2013 arrivò all’ultima giornata, solo grazie a un rocambolesco autogol del Levski nei minuti finali – la crescita è stata inarrestabile. Eliminato ai playoff di Champions, dalla Dinamo Zagabria nell’estate 2012, il Ludogorets interruppe la crescita sotto la gestione Ribeiro, poi nel 2017 arrivò ai sedicesimi d’Europa League dove fu sconfitto dal Copenhagen. L’anno dopo si fermò ai sedicesimi contro il Milan, dopo un girone in cui riuscì a primeggiare su Başakşehir e Hoffenheim. Ironia della sorte, il miglior marcatore stagionale (26 reti) fu il romeno Claudiu Keșerü, che nell’agosto 2014 segnò un rigore al sopracitato Moți che però – come detto – non bastò a qualificare lo Steaua.

Così a Razgrad, “città oscura” in bulgaro, 55mila abitanti nella pianura danubiana, l’ascesa del Ludogorets è stata percepita come lo stretto connubio di due eccellenze locali. Il presidente Domuschiev è infatti proprietario di due gruppi farmaceutici (Biovet Jsc e Huvopharna), il secondo dei quali conferisce il nome allo stadio di Razgrad. L’altra peculiarità sta nello yogurt: i latticini in questa regione bulgara sono molto popolari, basti pensare al festival organizzato a Razgrad ormai dal 2001 dedicato alla preparazione artigianale di yogurt e conseguentemente la tarator, una salsa con cetrioli e aglio. Oggi la squadra di Pavel Vrba (che a Euro2016 allenava la Repubblica Ceca), sebbene si sia qualificata ottenendo meno punti (8) di tutte le 24, affronta l’Inter con due certezze. La prima è il messaggio motivazionale di capitan Djakov («Non vediamo l’ora di vedere lo stadio pieno»), la seconda sta nel 20% dell’incasso ai botteghini che, dal 2012, finisce all’ospedale pediatrico di Sofia.

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