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Gol e titoli: il Flamengo ha ripreso da dove aveva lasciato

La Supercopa do Brasil, che si è disputata per la terza volta dopo le edizioni 1990 e 1991, non solo metteva in palio il primo trofeo stagionale, ma rappresentava il primo importante check-point sullo stato di forma delle due sfidanti: il Flamengo, al completo da poche settimane dopo le lunghe vacanze in seguito al Mondiale per club, e l’Athletico Paranaense, vincitore della Copa do Brasil dopo aver eliminato, tra le altre, anche il Flamengo stesso.

Il 3-0 finale restituisce un’immagine corretta della differenza esistente tra le due squadre: il Flamengo, nonostante la forma non possa essere delle migliori, ha controllato la partita dall’inizio alla fine e già dopo mezz’ora era in vantaggio di due reti, mentre gli avversari hanno dato l’impressione di essere ancora un cantiere aperto, in cui mancano certezze dopo le numerose pesanti cessioni.

Il nuovo tecnico, il 57enne Dorival Júnior, che ha preso il posto di Tiago Nunes (trasferitosi al Corinthians), ha dovuto fare i conti con un mercato finora deficitario, dal momento che non sono arrivati rinforzi adeguati a rimpiazzare le partenze: a centrocampo, dopo la partenza del capitano Bruno Guimarães (passato all’Olympique di Lione) manca un giocatore capace di dettare i tempi, mentre l’attacco è orfano del miglior marcatore della scorsa stagione Marcelo Cirino (passato ai cinesi del Chongqing Dangdai Lifan) e dell’esperto argentino Marco Ruben (rientrato al Rosario Central dopo un anno di prestito); se n’è andato inoltre il 23enne difensore centrale Léo Pereira, trasferitosi proprio al Flamengo (ma domenica assente per infortunio).

Tra i nuovi acquisti soltanto Marquinhos Gabriel è stato schierato titolare, peraltro al centro dell’attacco in una posizione non sua a causa della scarsità di alternative; a inizio gennaio sembrava fatta per il passaggio di Felipe Vizeu in prestito dall’Udinese, ma all’ultimo istante il giocatore aveva cambiato idea, preferendo riprovare a giocarsi le sue carte in Europa con i russi dell’Achmat Grozny.
L’assenza di un centravanti di spessore è senz’altro la lacuna che più salta all’occhio nella rosa, anche se la due occasioni più importanti sono capitate sui piedi del subentrato Guilherme Bissoli, 22enne attaccante brevilineo che in pochi minuti ha aumentato il peso offensivo della squadra, muovendosi bene e colpendo una traversa.

Dall’altra parte la situazione è naturalmente opposta: il Mengão sembra non essersi mai fermato e continua a volare sulle ali dell’entusiasmo; i meccanismi offensivi sono meravigliosamente oliati, con quattro giocatori (De Arrascaeta, Éverton Ribeiro, Bruno Henrique e Gabigol) capaci di muoversi con una fluidità posizionale in grado di offrire continuamente soluzioni di passaggio ai compagni in possesso di palla, favorendo scambi veloci nello stretto e senza dare punti di riferimento. Esemplare l’azione del primo gol, realizzato da Bruno Henrique di testa in inserimento tra i due centrali difensivi, da vero centravanti su splendido cross di colui che nominalmente occupa quel ruolo, il suo grande amico Gabigol, con il quale l’intesa sfiora ormai la perfezione. Se quest’ultimo tende a partire da posizione centrale per defilarsi, soprattutto sulla destra, il compagno attacca l’area partendo da sinistra, e arrivando in corsa può sfruttare le sue straordinarie doti atletiche e l’abilità nel gioco aereo; il dato sui passaggi completati – 25 a 13 – conferma il maggior coinvolgimento dell’ex-Inter nello sviluppo del gioco.

Se però tutto ciò era ben noto a chi avesse guardato anche solo qualche spezzone dei rubronegros nella seconda parte della scorsa stagione, era legittimo nutrire qualche dubbio su come il reparto arretrato avrebbe risposto alla partenza del centrale spagnolo Pablo Marí, trasferitosi all’Arsenal; benché la prestazione debba essere tarata sulla pochezza offensiva dell’avversario, il nuovo acquisto Gustavo Henrique (arrivato a parametro zero dal Santos) ha mostrato un buon affiatamento con il collega Rodrigo Caio, in particolare nel tenere la linea alta senza però concedere la possibilità di attaccare lo spazio alle loro spalle.

Per quanto riguarda gli altri nuovi acquisti, finora Jorge Jesus ha concesso loro poco spazio, ma l’impressione è che Michael Delgado (premiato come “rivelazione” dello scorso Brasileirão con la maglia del Goiás) abbia tutto per essere una devastante arma in più: nei pochi minuti giocati ha già dato un assaggio del suo repertorio, fatto soprattutto di dribbling, finte e scatti, ma l’anno scorso ha dimostrato di saper essere anche più concreto, con 9 gol segnati in campionato.

Tra gli altri, l’ex-Fiorentina Pedro si è già sbloccato nel Carioca e sarà un’alternativa di lusso in attacco, così come dovrebbero esserlo Thiago Maia (arrivato dal Lille) a centrocampo e Léo Pereira in difesa, mentre Pedro Rocha, esterno d’attacco prelevato dallo Spartak Mosca, potrebbe avere poco spazio vista la folta concorrenza.

Il Flamengo sta marcando una differenza sempre più evidente tra sé e le altre squadre brasiliane, e si inizia a parlarne come del “PSG brasiliano”, destinato ad anni di egemonia incontrastata grazie alla grande disponibilità economica della proprietà, ma non bisogna dimenticare come siano stati anche in grado di produrre “in casa” talenti come Vinícius Júnior e Reinier, ceduti per cifre decisamente fuori mercato rispetto al contesto sudamericano.

Soltanto il tempo saprà dirci dove può arrivare questo Flamengo, ma di certo questa prima finale stagionale ha mostrato una squadra che come poche altre è in grado di esprimere un gioco allo stesso tempo solido, divertente e brillante.

Matthias Galbiati

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